Contributi non versati: la Cassazione fissa i nuovi termini prescrizionali (sentenza n. 22802/2025 SS.UU.)

Con la sentenza n. 22802 del 2025, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno fatto chiarezza definitiva sul delicato tema dei contributi previdenziali non versati dal datore di lavoro. La decisione ridefinisce i termini di prescrizione, soprattutto in relazione ai casi di lavoro irregolare o “in nero”, fornendo un percorso temporale più chiaro per la tutela del lavoratore.

🔹 Tre fasi temporali distinte

La Corte ha individuato tre diversi termini prescrizionali, che si succedono nel tempo:

  1. Prescrizione ordinaria (5 anni)
    • Il datore di lavoro ha l’obbligo di versare i contributi previdenziali entro i termini di legge.
    • Se non lo fa, l’INPS può richiederli entro 5 anni dal momento in cui il versamento era dovuto.
    • Decorso questo termine, l’INPS non può più agire per il recupero coattivo.
  2. Costituzione della rendita vitalizia da parte del datore di lavoro (10 anni)
    • Una volta prescritto il diritto dell’INPS a richiedere i contributi, resta comunque a carico del datore di lavoro l’obbligo di assicurare al dipendente una tutela pensionistica.
    • Per questo, egli ha 10 anni di tempo per versare i contributi necessari alla costituzione di una rendita vitalizia reversibile a favore del lavoratore, che andrà a compensare i contributi mancanti nella posizione assicurativa.
  3. Azione del lavoratore (10 anni)
    • Se il datore di lavoro non adempie nemmeno entro questi 10 anni, subentra il diritto del lavoratore.
    • Il dipendente, anche se ha lavorato “in nero”, ha a sua volta 10 anni di tempo per chiedere la costituzione della rendita vitalizia a proprio favore.
    • In tal caso, i contributi restano comunque a carico del datore di lavoro, che viene obbligato a versarli anche tardivamente.

🔹 La novità dal 12 gennaio 2025

La riforma previdenziale entrata in vigore il 12 gennaio 2025 introduce una possibilità ulteriore per il lavoratore:

  • In caso di inerzia del datore di lavoro e di decorso dei termini prescrizionali, il lavoratore può pagare direttamente i contributi mancanti per costituire la rendita vitalizia a proprio favore.
  • Questa misura consente di salvaguardare la posizione pensionistica anche nei casi in cui non sia più possibile rivalersi sul datore di lavoro.

🔹 Implicazioni pratiche

  • Per i datori di lavoro: la sentenza rafforza l’idea che l’omissione contributiva non si estingue facilmente, ma rimane un rischio giuridico ed economico a lungo termine.
  • Per i lavoratori irregolari: si amplia lo spazio temporale per far valere i propri diritti, con un orizzonte complessivo che può arrivare fino a 25 anni (5 + 10 + 10).
  • Per il sistema previdenziale: la norma tutela l’interesse pubblico a garantire la copertura pensionistica, anche a distanza di molti anni dal rapporto di lavoro.

✅ In sintesi

La Cassazione con questa pronuncia offre una tutela rafforzata ai lavoratori, soprattutto quelli impiegati in nero, che spesso rischiavano di vedere svanire la possibilità di maturare i contributi per colpa del datore di lavoro.

Il messaggio è chiaro: l’omissione contributiva non è facilmente sanabile dal punto di vista prescrizionale, e il lavoratore dispone di strumenti efficaci e di lungo periodo per garantirsi i diritti previdenziali.